I Disturbi Emotivi Comuni (DEC), sono estremamente diffusi nella popolazione. Diversi studi * ne hanno confermato l’ampia diffusione, stimando che più di due milioni e mezzo di italiani soffrono nell’arco di un anno di un disturbo d’ansia e oltre il milione di persone di depressione maggiore (che oggi risulta essere la seconda patologia, dopo quelle cardiovascolari, per i costi economici e sociali). I dati ci dicono anche che solo una piccola percentuale di chi manifesta sintomi legati all’ansia o alle depressione si rivolge ad un professionista della salute mentale. L’attivazione di un percorso di trattamento nelle situazioni di disagio lieve permette di intervenire precocemente sui sintomi ed evitare una progressiva degenerazione degli stessi e la comparsa di patologie più serie ed invalidanti.
Come posso capire se ho un Disturbo Emotivo comune? Prova a pensare se nelle ultime settimane hai sperimentato
- scarso interesse o piacere nel fare le cose
- senso di depressione o disperazione
- difficoltà nel sonno (fatica ad addormentarti, risvegli frequenti..)
- stanchezza o mancanza di energie
- difficoltà nell’alimentazione (poca o troppa fame)
- sensazione di essere un fallito, sensi di colpa verso gli altri
- difficoltà a concentrarti sulle cose
- frequente nervosismo o preoccupazioni costanti
- fatica a rilassarsi
- dimuzione delle capacità di studiare o lavorare
- poca motivazione nei rapporti familiari e sociali
Nel caso tu sia nella condizione di aver sperimentato alcune o la maggior parte di queste sensazioni per un periodo più o meno prolungato, potresti aver bisogno di rivolgerti ad un professionista.
Come posso aiutarti?
Come psicologa ho le competenze per accompagnarti in un percorso di conoscenza e modificazione dei processi cognitivi, emotivi e relazionali che stanno alla base del tuo malessere.
Il modello a cui faccio riferimento è quello dello “stepped care” che prevede una gradazione degli interventi in funzione dell’entità dei bisogni e si fonda su un principio gerarchico basato su massimizzazione dei risultati e minimizzazione dei costi. Gli interventi da me svolti prevedono un basso livello di invasività (“a bassa intensità”) e sono destinati a chi presenta sintomi lievi. In caso di situazioni maggiormente complesse si potrà concordare insieme l’attivazione di percorsi differenti.
Che tipo di trattamento viene proposto?
La letteratura scientifica afferma che uno dei trattamenti di elezione per i Disturbi Emotivi Comuni è la Terapia Cognitivo Comportamentale (CBT). Il percorso “a bassa intensità” prevede tra le 8 e le 12 sedute di trattamento a cadenza settimanale.
Gli incontri possono essere svolti sia in presenza che on line.
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Dal 1° ottobre 2022 i cittadini hanno la possibilità di accedere gratuitamente ad un percorso di trattamento grazie al progetto Vivere Meglio promosso da Enpap e che mi vede coinvolta come Psicologa.
Per maggiori informazioni, per effettuare lo screening ed iniziare il tuo percorso verso un maggiore benessere clicca sul link
Non vediamo le cose come sono; vediamo le cose come siamo (Talmud)
*La migliore fonte di informazioni sulla situazione italiana è costituita dallo studio europeo ESEMeD (European Study of the Epidemiology of Mental Disorders) (deGirolamo et al., 2005; cfr. www.epicentro.iss.it)
I Disturbi del Neurosviluppo sono un gruppo di condizioni con esordio nelle prime fasi dello sviluppo, spesso prima che il bambino inizi la scuola elementare. Sono caratterizzati da deficit che causano una compromissione del funzionamento personale, sociale, scolastico o lavorativo. Il range dei deficit dello sviluppo varia da limitazioni molto specifiche dell’apprendimento o del controllo delle funzioni esecutive fino alla compromissione globale delle abilità sociali o dell’intelligenza” (APA, 2013). Secondo il DSM5 la categoria dei Disturbi del Neurosviluppo comprende:
- Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA)
- Disturbi della Comunicazione
- Spettro dell’autismo
- Disabilità intellettive
- Disturbo da deficit di attenzione/iperattività
- Disturbi del movimento
I Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) sono disturbi del neurosviluppo che riguardano alcuni apprendimenti scolastici come la lettura (Dislessia), la scrittura (Disortografia e Disgrafia) o il calcolo (Discalculia).I DSA non sono una malattia, ma una caratteristica individuale, data da un diverso funzionamento delle reti neuronali implicate nell’apprendimento delle strumentalità di base. Tali caratteristiche sono innate ma si manifestano in modo evidente con l’inizio della scolarizzazione. Sono disturbi cosidetti “evolutivi” nel senso che hanno una loro evoluzione nel tempo, ma non sono transitori, quindi accompagnano l’individuo lungo tutto il corso della vita.Possono essere diagnosticati a partire dalla fine della classe 2° o 3° della scuola primaria, tuttavia il riconoscimento e l’intervento precoce permettono di compensare le difficoltà e limitarne l’impatto sulla vita personale e scolastica.
Alcuni segnali della possibile presenza di un DSA: Lettura
- Lenta decifrazione delle singole lettere o difficoltà nella fusione di lettere e sillabe;
- Lentezza nella lettura
- Errori di inversione di sillabe
- Anticipazioni errate (per esempio viene letta la prima sillabe e poi si cerca di indovinare la parola)
- Difficoltà nella comprensione autonoma del testo, che migliora se il testo viene letto da qualcun altro
- Errori di scambi di lettere (b/d, p/q, a/e..)
- Salti frequenti di riga
Scrittura
- Frequenti errori (omissioni di lettere, scambi di lettere, omissioni di doppie e accenti..)
- Lentezza nell’atto motorio della scrittura (la prestazione solitamente migliora se viene concesso l’uso dello stampato)
- Lettere troppo grandi o troppo piccole
- Parole attaccate
- Cattiva gestione dello spazio grafico del foglio
Calcolo e manipolazione delle quantità
- Errori nel conteggio avanti o indietro
- errori nella lettura o scrittura di numeri
- difficoltà nel calcolo a mente entro il 10
- difficoltà nella memorizzazione delle tabelline
- errori nei confronti di quantità (per esempio trovare il numero più grande, il numero che viene prima/dopo)
- difficoltà nel contare o riconoscere piccole quantità
Inoltre i bambini o ragazzi con DSA possono manifestare difficoltà nella coordinazione motoria o nella motricità fine, difficoltà spaziali o temporali (per esempio nell’acquisizione di concetti temporali come i mesi, i giorni della settimana o spaziali come destra/sinistra..), difficoltà nella memorizzazione e nell’attenzione.
Cosa posso fare se noto questi segnali in mio figlio? È possibile effettuare una valutazione neuropsicologica relativa alle abilità cognitive e alle strumentalità di base, al fine di ottenere una “fotografia” del funzionamento del bambino/ragazzo. Al termine della valutazione verrà rilasciata una relazione clinica e, nel caso di diagnosi di DSA, verrà richiesta dal professionista la convalida da parte dell’ASL (in attesa di questo passaggio formale la scuola potrà comunque iniziare a tenere in considerazione le caratteristiche di apprendimento ed attivare le strategie di aiuto necessarie).
Per ulteriori approfondimenti puoi consultare il sito dell’Associazione Italiana Dislessia www.aiditalia.org.
“Quando perdiamo il diritto di essere diversi, perdiamo il privilegio di essere liberi” (C.E. Hughes)
“Il colloquio motivazionale è una modalità di guida, collaborativa e centrata sul cliente, finalizzata a far emergere e a rafforzare la motivazione al cambiamento” (Miller e Rollnick, 2009).
Nato in America negli anni ‘80 ad opera di William R. Miller e Stephen Rollnick, si è diffuso poi in tutto il mondo, con oltre 20.000 studi, ricerche e pubblicazioni che ne sostengono la validità scientifica. Il Colloquio Motivazionale è uno stile di comunicazione finalizzato a promuovere e sostenere il cambiamento attraverso 2 fattori: – L’importanza percepita del problema e della sua possibile soluzione – L’autoefficacia percepita
Lo spirito del Colloquio Motivazionale può essere descritto da 3 componenti:
- Autonomia: l’obiettivo è quello di sostenere e accompagnare la persona mentre si cerca di fare emergere la sua personale idea di cambiamento.
- Collaborazione: il professionista non è l’esperto che elargisce consigli, ma cerca di creare un’alleanza con il paziente
- Evocazione: nel Colloquio motivazionale si fanno emergere dal paziente le ragioni per cambiare e le preoccupazioni relative al cambiamento
Per ulteriori approfondimenti puoi consultare il sito della Motivational Interviewing Accademy www.colloquiomotivazionale.it
“La motivazione è un fenomeno relazionale”
“Imparare ad imparare”
Reuven Feuerstein è stato uno psicologo, allievo di Piaget (uno dei primi studiosi dello sviluppo cognitivo nei bambini). Basandosi sull’idea che l’intelligenza è modificabile e tutti, in qualunque situazione e in qualunque fase della vita, possono modificarsi e apprendere, ha sviluppato un Metodo che permette di aumentare la capacità di imparare attraverso una serie di esercizi di potenziamento delle strategie cognitive. Tali esercizi prevedono l’interazione con un mediatore, ovvero una persona in grado di accompagnare il soggetto non tanto alla conquista della soluzione ma alla consapevolezza del processo mentale messo in atto. Il metodo si fonda su tre concetti fondamentali:
- la concezione olistica dell’individuo, visto nella sua integrità;
- la teoria della modificabilità cognitiva strutturale, ovvero la convinzione che in ogni età e situazione l’individuo sia modificabile sul piano cognitivo, che in ogni individuo sia presente una disponibilità ad attivare risorse ancora latenti
- l’esperienza di apprendimento mediato, ovvero il tipo di relazione attraverso cui la modificabiltà può essere indotta.
La consapevolezza del proprio modo di apprendere permette poi una generalizzazione delle strategie adottate anche in ambiti e situazioni diverse, attraverso un processo che viene chiamato “bridging”. Il metodo Feuerstein può essere applicato sia a livello individuale che in gruppo ed è rivolto a bambini, ragazzi o adulti con difficoltà di apprendimento, deficit cognitivi, difficoltà nell’attenzione e nell’autoregolazione, disabilità. Può inoltre essere proposto a singoli professionisti o in ambito aziendale.
Per approfondimenti www.cam.rn.it
“Tutti si possono modificare con un lavoro di comportamento, conoscenza e comunicazione” (R. Feuerstein)
La psicologia perinatale è una branca della psicologia che si occupa di promuovere e tutelare la salute del bambino e della coppia genitoriale dalla gravidanza ai primi mesi dopo la nascita. Gli studi più recenti hanno dimostrato come non esistano 2 cervelli identici, ma ogni cervello ha le sue reti neurali e quindi un suo funzionamento specifico, diverso per ogni individuo. Prendersi cura del bambino, ancor prima della nascita, e del contesto in cui è inserito è di fondamentale importanza perché solo una piccola parte del funzionamento cognitivo è innata, genetica, la maggior parte del nostro funzionamento psichico deriva dalle esperienze che viviamo e si plasma in modo particolare nei primi 1000 giorni di vita (tempo compreso tra il concepimento e i 2 anni di vita). In questo intervallo di tempo il cervello è estremamente sensibile agli stimoli che provengono dall’ambiente e sono questi stessi stimoli a strutturare le reti neurali che determinano lo sviluppo sia in termini di funzionamento cognitivo che emotivo e comportamentale.
Situazioni altamente stressanti in gravidanza determinano un aumento nella produzione del cortisolo (l’ormone dello stress) che viene trasmesso non solo al feto (contribuendo a modificazioni a livello neuroendocrino e neuroanatomico) ma può mostrare i suoi effetti anche a livello transgenerazionale (anche nelle generazioni successive). Diventa quindi fondamentale prendersi cura non solo del bambino prima e dopo la nascita, ma anche delle mamme e in generale della coppia genitoriale, con l’obiettivo di facilitare la creazione di un contesto protettivo che potenzi le competenze genitoriali e favorisca il benessere familiare. I recenti avvenimenti legati alla pandemia da Covid-19 hanno ulteriormente complicato la condizione delle famiglie che spesso si trovano sole e senza sostegno o possibilità di confronto. È sempre più necessario costruire una rete sociale di sostegno e protezione, al fine di intercettare situazioni potenzialmente a rischio e offrire un luogo di incontro e sostegno.
Cosa fa lo Psicologo perinatale?
Grazie alla formazione professionale derivante dal percorso di studi e da una formazione specifica nell’ambito della perinatalità, in collaborazione con altri professionisti (ostetriche, ginecologi, pediatri..), affianca e accompagna le mamme e i papà sia durante il periodo di gestazione che nel puerperio, attraverso incontri di counselling individuali o di coppia, sostegno psicologico, conduzione di gruppi pre e post parto. Alcuni dei temi affrontati nel percorso di consulenza possono essere:
- la coppia in gravidanza o dopo la nascita del bambino
- preparazione al parto
- baby blues e depressione post parto
- consulenza sul sonno
- consulenza sull’alimentazione
Per approfondire: https://www.dpss.unipd.it/pillole-di-psicologia-profssa-eloisa-valenza
“La nascita non termina il giorno in cui vieni al mondo, quel giorno è solo l’inizio: il giorno in cui hai lasciato il ventre di tua madre non sei nato, hai iniziato a nascere” (Osho)